Giovanni Segantini, Le due madri, 1889; olio su tela; 157x280cm; Milano, Galleria d’Arte Moderna
Essere madre …
È carnale e sanguigno l’amore di una creatura che ha vissuto il suo primo respiro in te.
Madre Natura ridona, attraverso le sue creature di ogni specie, il dono della Vita.
Eppure penso che l’ essere madre affondi il suo valore universale propriamente nella capacità di prendersi cura dell’altro e della Vita e che la maternità sia oltre,
nell’ immenso e nell’ infinito dell’Amore.
È madre chi cerca di proteggere un futuro, in ogni dove, in ogni istante, in ogni occasione.
È madre chi si adopera senza reticenza;
chi sa aprire varchi, costruire ponti e inventarsi percorsi;
chi accoglie, nel rispetto, senza distinzione.
È madre chi preserva e porta in salvo fin dove potrà.
L’opera Le due madri dal sottotitolo “Effetto di lanterna. Interno di una stalla” di Giovanni Segantini è un dipinto che mette in relazione la maternità animale con quella umana. Siamo sul finire dell’ottocento e la maternità è un tema fondamentale nel simbolismo di Segantini. L’argomento fu soggetto per molte produzioni letterarie dell’epoca. La figura della madre, animale e umana, è interpretata dall’artista in chiave naturale. La madre bovina sembra non curarsi del vitello. Allo stesso modo la giovane donna è abbandonata al sonno come il figlio. Le figure del gruppo animale e quelle del gruppo maternità acquistano un aspetto monumentale.
L’opera è conservata a Milano presso la Galleria d’Arte Moderna e notevoli sono le sue dimensioni: 157x280cm. Fu realizzata da Segantini nel 1889 e da lui esposta, con notevole successo, alla prima Triennale di Brera del 1891 (in mostra, di fronte, era collocata la “Maternità” di Previati. Per lui, invece, siamo davanti ad un’interpretazione simbolica, un po’ mistica, eterea ed onirica).
Per Le due madri non si tratta di una mera maternità vista in chiave religiosa. L’artista compie la realizzazione di un’opera il cui significato nasce dall’ atmosfera sospesa e spirituale del dipinto. L’evento è subordinato alle leggi naturali. La bovina mangia tranquilla mentre a terra il vitello riposa. Anche la contadina dorme con il figlio abbandonato sulle sue ginocchia.
Segantini fu un anticlericale convinto. Eppure, nonostante questo, pare che l’immagine della donna si confronti direttamente con la medesima della Maternità cristiana.
Si tratta di un’umile scena notturna in una stalla dall’alto valore emblematico. Una giovane madre si trova qui con in braccio il suo bambino. La donna è seduta su di uno sgabello da mungitura a tre gambe. È vestita con un semplice abito lungo che arriva fino ai piedi coperti da poveri zoccoli. Il capo è avvolto da un fazzoletto chiaro annodato. Il suo viso è chinato in basso, ha gli occhi chiusi e sembra dormire serenamente. Tra le sue braccia riposa il neonato. Il piccolo dorme sulle ginocchia materne. È avvolto da un panno che ricopre interamente il suo corpo. Il suo piccolo braccio sinistro scivola in basso lungo la gamba della madre.
A sinistra, invece, una vacca si ciba da una mangiatoia. A terra, il suo vitello riposa tranquillamente mimetizzato tra la paglia. Al centro dell’immagine, una lampada, schermata da un foglio, illumina debolmente la scena. I muri della stanza sono scuri; il pavimento nella stalla è interamente ricoperto di paglia. La luce mette in evidenza il piccolo che dorme tra le braccia della madre.
L’opera è firmata e datata in basso sul lato sinistro. L’anonimo recensore della “Cronaca dell’Esposizione” della Triennale del 1891, considerava l’opera tra le migliori della mostra a tal punto da candidarla per il prestigioso premio Principe Umberto. Non tutti però furono concordi. Il Segantini la citò nella lettera a Domenico Tumiati (Maloja, 29.5.1898) con la definizione di “effetto di lanterna”; mentre Primo Levi nel 1899 la elencò col titolo di “Le madri (interno di stalla)”. Esiste una copia dell’opera custodita al Museo Segantini di Saint-Moritz, realizzata da Gottardo, figlio del Segantini.
Quest’opera ha una grande intensità emotiva. Partendo da una scena di genere, Giovanni Segantini compie il passaggio ad un’idea universale, all’ idea della maternità, a ciò che dà origine alla vita. L’opera ha un chiaro significato simbolico: il sentimento dell’amore materno pervade la natura e tutti gli esseri viventi. Il pittore guarda con tenerezza al mondo dei contadini e attua un paragone tra la mucca con il suo vitello e la contadina con il suo bambino accomunate nel ruolo di madri (la compagna del pittore Luigia Bugatti detta Bice e il figlio Gottardo si prestano a questa posa interpretativa). L’artista vuole far emergere il fatto che l’istinto materno c’è anche negli animali dando una interpretazione della maternità laica e profondamente spirituale (pur guardando alla sua convinzione anticlericale). Stabilendo un parallelismo tra l’amore materno umano e quello animale, la maternità sembra quasi un realizzarsi passivo delle leggi della natura, attraverso il quale, donna e mucca compiono il proprio ruolo nel perenne ciclo vitale assumendo valore universale.
L’effetto di luce è dato da una fonte di luce interna. Si tratta di una luce artificiale prodotta da una lanterna che crea un’ atmosfera cromatica calda e dorata e che contribuisce a dare unità di toni e sentimento alla scena. Questa luce di lanterna ispira l’idea di un luogo accogliente. L’atmosfera è intima, di sereno riposo e affetto materno. Quasi immediata l’evocazione alla sacra natività.
Il punto di vista è molto ravvicinato e le figure sono monumentali. I corpi hanno solidità, volume e plasticità. La giovane contadina e il suo bambino risaltano nella penombra della stalla, illuminati direttamente. Le ombre si riflettono sulle pareti e sul pavimento.
La tecnica divisionista permette a Segantini di rendere la tela molto luminosa.
Divisionismo… cos’è?
Il Divisionismo si affermò in Italia tra la fine dell’Ottocento e il 1915, ma ebbe il suo fulcro a Milano.
I pittori divisionisti, tra cui Giovanni Segantini (1858-1899), Giuseppe Pellizza da Volpedo (1868-1907), Gaetano Previati (1852-1920), Angelo Morbelli (1853-1919) e Emilio Longoni (1859-1932) si espressero attraverso una tecnica molto acccurata, fatta di pennellate di colore puro, minute, filamentose e vibranti.
Gli artisti di questa corrente avevano in comune con le ricerche dei Puntinisti francesi l’interesse per le teorie della visione e della scomposizione dei colori. Vollero anche conferire alle loro opere importanti significati simbolici, religiosi, politici e sociali. Opera di importante esempio, al riguardo del significato socio-politico, è Il quarto stato di Pelizza da Volpedo (per la quale ho realizzato un incontro dedicato che trovate anche nel mio canale You Tube), dove i lavoratori, fieri e nobili, ci vengono incontro come manifesto delle speranze per un mondo nuovo.
Giovanni Segantini, per suo conto, affondò questi valori in composizioni dall’ alto valore simbolico che descrivono una natura ora selvaggia, ora serena, ma sempre filtrata da una calda profondità spirituale.
Giovanni Segantini fu pittore di montagne, di paesaggi, di villaggi…Amava riprendere le malghe, il bestiame ed i riti quotidiani delle genti di montagna. È lui che esalta il mondo dei pastori e dei contadini, la loro vita dura ed a contatto con la natura. Accanto agli uomini, ci sono sempre animali, visti dall’ artista come fedeli compagni della vita.
La tecnica divisionista consiste nell’ applicare sottili pennellate di colori ad olio puri (non mescolati e molto ravvicinate) a pennellate di colori complementari. Ne consegue un incremento della luminosità e una resa verista per il soggetto. Ed è qui che la natura scelta da Segantini ben si concede a rivelare anche su tela la sua luce intensa per le pietre e le rocce, così come per gli aspetti più minuti della realtà quali i fili d’erba, la paglia e il pelame degli animali.
Il pittore ricorre ad effetti di luce a volte spettacolari, estremi e pittoreschi: le tonalità livide del crepuscolo, il controluce del sole basso all’ orizzonte all’ alba o al tramonto, il chiaroscuro della luce artificiale.
Durante gli ultimi anni si accentua l’esigenza dell’artista di una vita vicina allo spirito religioso; è così che emerge in lui, nel rapporto con la natura e con la luce, la ricerca del divino.
E allora “Le due madri” è un’opera divisionista in quanto il soggetto rientra tra i soggetti popolari, nel senso che rappresenta i valori che caratterizzano il popolo: il lavoro umile e faticoso, la famiglia, ecc.
L’ambiente è divisionista perché la scena è in un luogo considerato dai divisionisti un sito non intaccato dalla logica di mercato che invece contraddistingue la vita di città.
La pennellata di colore puro è minuta e fitta, crea dei filamenti di tinte nei toni dei bruni, dell’ocra chiaro e dello scuro. Ogni parte appartiene all’insieme.
Giovanni…
Il maggiore pittore divisionista italiano nasce ad Arco (in provincia di Trento) il 15 gennaio 1858. Non nasce italiano perché all’epoca il Trentino era austriaco.
Giovanni ha solo sette anni quando dopo un’infanzia drammatica segnata da ristrettezze economiche e dalla morte della madre, viene affidato alla sorellastra e costretto a trasferirsi a Milano.
Presto finisce rinchiuso in riformatorio per vagabondaggio. Ci resterà fino al 1873, quando viene nuovamente affidato, quindicenne, al fratellastro Napoleone, residente a Borgo Valsugana, dove possiede un laboratorio fotografico. Per qualche anno Giovanni lavora qui affinando la sua sensibilità artistica e applicandosi allo studio della pittura.
Il ritorno alla vita contadina gli fa bene, ma presto vuole ritornare a Milano per proseguire i suoi studi.
Dal 1878 al 1879 frequenta corsi regolari all’Accademia di Brera, segue le lezioni di Giuseppe Bertini e stringe amicizia con Emilio Longoni, allora aspirante pittore come lui.
Durante l’Esposizione Nazionale di Brera del 1879, viene notato dalla critica milanese, incontra il pittore ungherese Vittore Grubicy che ne intuisce il talento e col quale instaura un rapporto d’amicizia.
L’anno dopo conosce Luigia Bugatti, detta Bice (sorella di Carlo Bugatti, altro suo sostenitore); è lei che diverrà la donna che lo accompagnerà per tutta la vita.
Giovanni era apolide, senza genitori e dunque senza documenti ufficiali, il ché non gli permetteva di sposarsi regolarmente.
Nel 1880 si trasferisce con la compagna a Pusiano in Brianza, dove dipinge con il sostegno finanziario di Vittore Grubicy che, con il fratello, si occupa del mercato d’arte.
Ma Giovanni vive in forti ristrettezze economiche.
All’ Esposizione Internazionale di Amsterdam gli viene assegnata la medaglia d’oro per la prima versione del dipinto “Ave Maria a trasbordo” e, nell’ autunno del 1885, inizia quello che rimarrà forse il suo quadro più conosciuto: “Alla stanga”.
Nel 1886 Giovanni Segantini si stabilisce a Savognino nel Canton Grigioni con la famiglia che è molto cresciuta, visto che è arrivata ad avere 4 figli.
Incoraggiato dal suo gallerista, inizia il progressivo avvicinamento alla tecnica divisionista, prima con alcune sperimentazioni ed in seguito con un’adesione totale, affinando, nello stesso tempo, i suoi interessi culturali grazie alla collaborazione con riviste d’arte.
I commercianti d’opere d’arte, i fratelli Grubicy, promuovono i suoi lavori e accrescono la sua fama per mezzo di un’ intelligente attività promozionale.
Dal 1889 Giovanni Segantini si avvicina al “Simbolismo”e le sue opere hanno per oggetto vere e proprie allegorie, sempre più legate agli esempi dei pittori nordici.
Nonostante i riconoscimenti e il duro lavoro, Segantini è assillato dai debiti e, nel 1894,si stabilisce nei pressi del valico svizzero Passo del Maloja.
La vita in questi luoghi incontaminati e solitari intensifica il suo innato misticismo che, negli anni ’90, si rispecchia nei suoi dipinti.
Segantini preferisce dipingere en plein air, nei luoghi dove è ambientata la scena da riprodurre, e già dagli anni 1883-84 rinuncia all’uso del bozzetto e al dipingere in uno studio. L’artista non predispone studi preparatori ma la maggior parte delle volte arriva direttamente al disegno dal dipinto.
Nell’ ultimo periodo, nel 1898, adibisce una costruzione affiancata alla sua baita Kuomi a Maloja a sorta di studio dove in realtà va per leggere e disegnare, ma mai per dipingere.
Invitato a collaborare alla realizzazione del padiglione dell’Esposizione Universale di Parigi del 1900, Giovanni Segantini prepara il “Trittico della Natura”.
Proprio per completare quest’opera il 18 settembre del 1899 l’artista sale ai 2.700 metri dello Schafberg, e colpito da un violento attacco di peritonite, Giovanni Segantini muore il 28 settembre 1899.
Nel 1896 l’opera Le due madri fu premiata a Vienna con la massima onoreficenza, sancendo il successo internazionale dell’artista che due anni dopo partecipò come invitato d’onore alla prima mostra ufficiale della Secessione. “Vienna rimase scioccata alla vista della sua grande opera. La vacca nella stalla a grandezza naturale, del cui manto si vedeva ogni singolo pelo, così come si vedeva ogni singolo filo di paglia sotto di lei […]. L’Accademia si fece il segno della croce, i professori della giuria si indignarono, ma proprio in quei giorni al Künstlerhaus furono i giovani ad avere la parola e Segantini ottenne la medaglia d’oro. Quando poi i giovani fecero la Secessione, l’uomo di Maloja entrò con entusiasmo nelle loro primissime fila”.
È madre…
Chi parla ai figli degli altri come fossero suoi. Chi semina parole di coraggio e sostegno.
Chi, ogni giorno, unisce e tesse fili di riconciliazione;
colei che aiuta le altri madri e le sorregge quando non ce la fanno;
colei che sa guardare oltre la disabilità, l’estraneità, il sangue che non le appartiene, chi fornisce seconde e terze possibilità.
È madre chi rende semplice ciò che è complesso;
Chi dà fiducia e non perde mai la speranza di riuscire laddove risiede l’impossibile.
Foto:
Ascolta l’audio sul canale YOU TUBE https://www.youtube.com/watch?v=ezSe70XViJE