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Rosalba Carriera, Autoritratto con il ritratto della sorella, 1708-09; pastello su carta, 71x57cm; Firenze, Galleria degli Uffizi
Rosalba Carriera, Autoritratto, post 1746, 31x25cm, pastello su carta; Venezia, Gallerie dell’Accademia
Rosalba Carriera è una di quelle donne artiste che suscita sempre fascino ed ammirazione. Figura chiave dell’arte italiana del Settecento, è stata e continua ad essere un talentuoso esempio di affermazione, anche oltreconfine, per la pittura veneziana.
Come artista non riuscì a padroneggiare i colori ad olio stesi al pennello, ma fu una fuoriclasse nell’ uso dei pastelli.
L’impavida Carriera non incarnò mai la figura tipica della dama settecentesca come la Venezia di quell’ epoca ci indurrebbe ad immaginare. Chiaramente visse quel periodo, ma la sensazione è che fu saggiamente arguta nel coglierne più gli indotti che le eclettiche maniere.
Crea due diversi generi di ritratti: un filone di ritratti dal vero (per cui esiste il modello che posa e che Rosalba ritrae) ed un filone di ritratti di genere: realizza delle allegorie mitologiche (stagioni, muse) che diventano ben presto oggetto del desiderio di committenti raffinati.
Oltre che rivoluzionaria per quanto detto, lo è anche per l’audacia delle donne che ritrae. Lascia di loro scoperte parti del corpo molto più del consentito per l’epoca. Questo è stato un suo punto di forza enorme: le nobildonne e i cavalieri si regalavano ritratti discinti per desiderio e diletto. Molta della sua produzione riguarda l’aristocrazia d’Europa: viene assunta come ritrattista ufficiale nelle più importanti corti.
Vorremmo forse per qualche ora rivivere nella Venezia di quel tempo per cogliere alcuni foresti gentiluomini in transito e desiderosi, per vanità, di farsi ritrarre dalla Carriera con abiti tipici e maschere locali.
Rosalba Carriera, pittrice ritrattista e miniaturista italiana, nasce a Venezia il 7 ottobre 1675 da una famiglia benestante: suo padre, Andrea Carriera, era funzionario della Repubblica della Serenissima, sua madre Alba Foresti, era una stimata merlettaia.
Educata in famiglia a coltivare le arti a cui erano destinate le ragazze di quel tempo, Rosalba insieme alle due sorelle, Giovanna (1675-1737) e Angela (1677-1760) studiò musica imparando a suonare il violino, apprese la letteratura e lingue straniere, e le arti della pittura e del ricamo. Iniziò il suo cammino artistico realizzando modelli di pizzo per la madre.
Da ragazzina, prima di essere in età per lavorare col padre, ebbe per maestro il pittore d’arte sacra e ritrattista, Giannatonio Vucovichio Lazzari.
Purtroppo, per il lavoro del padre, molto spesso la famiglia, era costretta a cambiare residenza per raggiungere le cancellerie sulla terraferma; ciò costrinse la giovane allieva a tralasciare “l’apprendistato” presso il maestro Lazzari. Ritornata a Venezia in modo stabile, Rosalba potè perfezionarsi nei suoi studi prediletti, specialmente nella miniatura, nella quale riuscì in modo eccelso.
A 14 anni frequentò la bottega di Giuseppe Diamantini, pittore marchigiano di formazione bolognese. Apprese lezioni da Antonio Balestra, pittore e incisore romano che si trasferì a Venezia nel 1690. Nonostante non si abbia la certezza di un rapporto maestro-allieva, il Balestra ebbe sicuramente un ruolo nella scelta di Rosalba nel superare i limiti della miniatura.
Rosalba si dedicò presto e totalmente allo studio della pittura e con la sorella Giovanna, decise di non sposarsi per dedicarsi all’arte.
Con la diffusione del tabacco da fiuto a Venezia, un’usanza molto in voga anche fra le signore, Rosalba iniziò a dipingere miniature per i coperchi delle scatole da tabacco e per i cofanetti adoperati per il deposito dei gioielli. Riproduzioni di figure di damine graziose, contadinelle e mitologie femminili divennero la sua fortuna. Fu la prima artista a dipingere sull’avorio e sull’osso; da alcune annotazioni trovate nella corrispondenza che riceveva e inviava, di cui ne faceva sempre una copia, si hanno notizie certe che nel 1700, Rosalba Carriera dipingesse su scatoline da tabacco da fiuto per rivenderle ai turisti. La diffusione internazionale ne era assicurata e anche una cospicua promozione.
Diventata presto famosa per la delicatezza delle sue miniature, cominciò ad eseguire anche ritratti di personaggi importanti, facendo rinascere l’arte del pastello che lei sapeva usare con tanta maestria tanto che l’incarnato dei visi e delle mani destasse emozione. Eppure dobbiamo tenere in considerazione che la mentalità dell’epoca riteneva, in maniera quasi esclusiva, che le miniature fossero le realizzazioni pittoriche più idonee ad essere realizzate da una signora. Ciononostante Rosalba, incurante della mentalità conformista e restrittiva, continuò a dipingere per ritratti eleganti e delicati e proprio grazie a questi, sarebbe presto diventata un’artista apprezzata, esclusiva e notoriamente richiesta in tutta Europa.
I primi lavori eseguiti a pastello si collocano già nel periodo giovanile in cui la fanciulla frequentò le botteghe dei maestri Giuseppe Diamantini e Antonio Balestra.
La scelta di far rinascere la pittura a pastello, ormai decaduta da molto tempo e quasi dimenticata, fu supportata dall’amicizia anche con Antonio Maria Zanetti conosciuto dai collezionisti a livello internazionale.
I pastelli…una tecnica che ben delineava i fattori estetici del nascente gusto Rococò, con le sue ciprie, le sue rese candide per il derma e per i nei (quest’ultimo arduo e spiccato simbolo di contrasto tra una pelle pura ed un minuscolo peccato voluttuoso).
L’esser donna probabilmente fu la fortuna della pittrice che proponeva i suoi ritratti, poiché da donna, sapeva scrutare l’animo della persona che aveva di fronte, facendone trasparire l’astuzia e l’arguzia o la diplomazia di quel politico, la furbizia o la celata civetteria di quella moglie o compagna dell’alto funzionario.
Nel 1705 sfruttando l’amicizia del suo amico inglese Christian Cole, venne ammessa alla Accademia Nazionale di San Luca a Roma presentando come saggio artistico la miniatura della “Fanciulla con colomba”.
Molto singolare è l’occasione in cui eseguì il ritratto del Re Federico IV di Danimarca. Il sovrano soggiornò in incognito a Venezia nel 1708 per alcuni mesi, si fece ritrarre e commissionò poi alla Carriera il ritratto di tutte le più belle dame della città.
Nel 1716, Rosalba conobbe il famoso critico ed esperto d’arte Pierre Croizat. Quando venne a mancare il padre, pochi anni dopo, lui la invitò a trascorrere del tempo a Parigi: la Carriera, che come vi ho enunciato non si sposò mai giacchè ebbe anche un forte legame affettivo e professionale con la sorella Giovanna, decise di portare nella capitale francese tutta la famiglia, le tre sorelle, un cognato e la madre. A Parigi venne accolta calorosamente dai circoli artistici ed intellettuali, in particolar modo da Antoine Watteau, noto conoscitore di quadri, che divenne suo amico e per il quale realizzò un famoso ritratto. Rosalba Carriera e Pierre Croizat furono in gran parte responsabili dello sviluppo del Rococò in Francia.
Il 1716 fu anche l’anno in cui venne accolta nell’Accademia Reale di Pittura e Scultura di Parigi, un ingresso per nulla comune alle artiste. Ma il segreto fu nel talento…La pittura di Rosalba, seppur lontana dalle regole accademiche, riuscì ad influenzare profondamente il modo di ritrarre nella Francia del ‘700.
A Parigi tenne un diario dove annotava con grande precisione tutti i fatti avvenuti durante il suo soggiorno.
Scriveva nel diario il 26 ottobre: “Mi fu data la lettera dell’Accademia, e la nuova di essere stata ricevuta a piene voci senza essere stata ballottata”. Ed ancora “9 novembre – Andata la prima volta all’Accademia dove M.r Coypel (primo pittore del Re) fece un breve ringraziamento agli Accademici, li quali mi accolsero colla maggior cortesia”.
A Parigi fece ritratti a tutta la famiglia reale, giungendo a ritrarre perfino il re di Francia Luigi XV.
Al riguardo, nel suo diario, in data 1 agosto 1720 si legge: “Ebbi ordine da parte del Re di fare in piccolo il ritratto della Duchessa Vantadour: ed in questo giorno ne cominciai uno piccolo dello stesso Re”.
Riconosciuta e stimata da grandi mecenati che apprezzavano la sue opere quali Massimiliano II di Baviera e Augusto III re di Polonia… viaggiò molto e fu accolta dalle corti di tutta Europa, riscuotendo meriti e riconoscimenti.
È il 1721 quando Rosalba rientra in Italia per 4 mesi e soggiorna presso la corte del ducato di Modena, ritraendo a pastello tutta la famiglia.
Nel 1735, si trasferisce a Vienna alla corte degli Asburgo, dove lavora alacremente per ritrarre tutta la famiglia.
Rosalba era riuscita in pochi anni a conquistare le attenzioni di collezionisti d’arte, diplomatici e sovrani discostandosi decisamente dallo stereotipo comune della donna frivola. Con la sorella fondò a Venezia una sorta di circolo culturale a cui appartennero personaggi di spicco dell’ambiente artistico-letterario veneziano, tra cui pittrici che divennero anche sue allieve quali Felicita e Angioletta Sartori e Marianna Carlevarijs (quest’ultima figlia del noto pittore vedutista Luca Carlevarijs), ne fece parte la contralto Faustina Bordoni Hasse, la poetessa Luisa Bergalli, la ballerina Barbara Campanini, la contessa Caterina Sagredo Barbarigo, donne emancipate e progressiste che conquistarono le libertà negate alle donne di quei tempi.
Viaggiatori stranieri in visita a Venezia, figli di nobili e diplomatici, principi e principesse, le commissionavano ritratti e si recavano presso il suo modesto studio per ammirarne i capolavori. A Venezia fece il ritratto di Federico III di Danimarca, del duca Carlo di Baviera, del principe di Mecklemburgo. La fama internazionale di Rosalba Carriera si deve clamorosamente ai ritratti dei forestieri, soprattutto inglesi come Lord Boyne o al secondo Duca di Newcastle, che soggiornavano a Venezia per vivere l’euforia del Carnevale più famoso del mondo. Riportando in patria questi pastelli – raffinati per cromie, leggerissimi per realizzazione, intessuti di sottile interpretazione psicologica, e sapientemente orchestrati tra moderata idealizzazione e perspicacia fisiognomica – decretarono il successo della pittrice in tutta Europa.
L’abitudine della pittrice di fare la copia di tutti i dipinti eseguiti dal 1720, fece in modo che alla sua morte lasciasse una collezione incredibile dei volti ritratti più noti del suo secolo. È noto che Rosalba si affidasse alle sue allieve migliori tra le quali la sorella Giovanna oltre che a Marianna Carlevarijs e a Felicita Sartori. Repliche sulle quali interveniva per il tocco finale.
Negli ultimi dieci anni della sua vita Rosalba Carriera venne colpita da una malattia agli occhi e il malriuscito intervento, la portò alla cecità; impazzì per la privazione della vista. Questa condizione minò profondamente la serenità della pittrice, che poco tempo prima aveva perso anche l’amata sorella Giovanna.
L’anziana artista morirà a Venezia poco più che ottantenne e fu sepolta nella parrocchia di San Vio, il 15 aprile 1757 (Santi Vito e Modesto) lasciando con i suoi ritratti leggeri e vaporosi la testimonianza degli ultimi bagliori della grande stagione veneziana, destinata, di lì a poco, a concludersi.
Le opere di Rosalba che suscitarono più curiosità furono i suoi autoritratti perché dimostrano lo sviluppo psicologico e morale dell’artista. Si ritrasse dalla giovinezza alla vecchiaia. Alcuni di questi autoritratti sono conservati a Venezia al Museo del Settecento di Ca’ Rezzonico e alle Gallerie dell’Accademia; sono a Rovigo presso l’Accademia dei Concordi e a Grosseto presso il Museo Civico di Casteldelpiano; altri ritratti fanno parte di collezioni come quella reale di Windsor; altri ancora sono custoditi alla Pinacoteca di Dresda ‘Alte Meister’.
L’aspetto più apprezzato dei suoi dipinti fu il modo unico di immortalare minuziosamente i volti e le espressioni in piccoli formati, come se riuscisse a leggere e capire le persone che ritraeva. In qualche modo l’arte della miniatura e della minuzia persisteva nella resa autentica e profonda dei volti.
Una peculiarità dei ritratti (e degli autoritratti) di Rosalba Carriera è appunto l’indagine psicologica del personaggio che si manifesta attraverso i suoi tratti delicati. I suoi dipinti appaiono come studi incorniciati da un profondo realismo, nei quali è possibile riconoscere emozioni e personalità. Il pastello, la tecnica prediletta dall’artista, si prestava molto bene alla ritrattistica grazie alla possibilità di sfumare e di dare tocchi vivaci ai volti. Nei suoi autoritratti, la Carriera appare spesso malinconica ma allo stesso tempo fiera e orgogliosa: dedicò tutta la sua vita alla carriera, e seppur soffrendo di solitudine affettiva, sapeva di avere un grande ruolo nel mondo dell’arte.
La sua arte fu sempre molto fedele a se stessa e non conobbe mai una decisa evoluzione o drastici cambiamenti.
Della sua pittura colpiva, il modo unico di rappresentare, la cura attenta, quasi eccessiva, che riusciva a trasmettere sulla carta, gli aspetti profondamente reali dei volti , le espressioni delle persone che ritraeva, una pittura reale senza ipocrisia.
Col passare del tempo coi suoi duplicati, aveva formato una piccola galleria, oltre alle copie, c’erano parecchi medaglioni di figure storiche che il re di Polonia Augusto III, volle acquistare e che sono custoditi ancora oggi alla Pinacoteca di Dresda ‘Alte Meister’..una collezione che non ha eguali in tutto il mondo.
Come vi dicevo le opere di Rosalba che suscitarono più curiosità furono i suoi autoritratti perché sono un racconto interiore, personale e psicologico, un arco di tempo che attraversa quasi 37 anni di operato, nel quale il volto di Rosalba si modifica, conosce le primordiali gioie dei successi e la tarda tristezza nel vedersi appassire lentamente, senza mai aver provato quell’amore che ti sconvolge i piani e ti fa mollare tutto ciò in cui credi per seguirlo.
Rosalba si è ritratta nella giovinezza spensierata, (guardiamo insieme il quadro del 1715, a sinistra e conservato agli Uffizi di Firenze, dove l’autrice rappresenta se stessa mentre dipinge la sorella), fino a giungere al dipinto di destra, datato post 1746 e conosciuto anche come “La tragedia” dove traspare il proprio malessere, fisico e interiore, il volto invecchiato e rigido, duro e dagli occhi tristi, nel quale indossa una corona di alloro. È ancora in quest’opera che è evidente il suo dolore e la sua delusione, dopo quell’ intervento alle cornee non riuscito e per il quale le complicazioni sopraggiunte aggravarono la sua cecità…
Nei suoi ritratti femminili le pose sono delicate, era molto sensibile nel riprodurre le pieghe degli abiti, la morbidezza dei tessuti, le perle, le trine e i merletti. Beh, le loro arti le aveva apprese già in tenera età.
Nel 1838, il critico d’arte, Tommaso Locatelli, lesse un “Elogio” nei riguardi di Rosalba, all’ Accademia delle Belle Arti di Venezia. Così si pronunciò: “Questa maniera di dipingere, fra gli altri suoi pregi, ha singolarmente quella della morbidezza nella carnagione in modo che i nudi così dipinti riescono appunto a chi li vede come se fossero carne vera, e vive forme impastate dalla mano stessa della natura. Lavoro in vero difficilissimo, ma condotto dalle maestre dita della valente Rosalba al sommo grado di perfezione”.
E giungiamo alle nostre opere in visione, da sinistra
Rosalba Carriera, Autoritratto con il ritratto della sorella, 1708-09; pastello su carta, 71x57cm; Firenze, Galleria degli Uffizi
In questo primo autoritratto eseguito a pastello, ora alla Galleria degli Uffizi a Firenze, datato 1708-1709, l’artista si ritrae a circa trentacinque anni, con un misto di timidezza e di orgoglio professionale, mentre dipinge il ritratto della sorella Giovanna, la cui testa invece di essere rivolta verso la pittrice stessa guarda verso l’esterno. Rosalba si ritrae in attitudini professionali, volgendo verso lo spettatore il ritratto della sorella.
Rosalba, infagottata nel soprabito da pittore, ingentilito dagli inserti in pizzo del vestito, sembra irrigidita nella convenzionalità della posa, mentre con il portalapis in mano – a differenza di altre pastelliste che nei loro ritratti hanno in mano la cassetta con i vari riquadri contenenti i pastelli, indugia con discrezione sul ritratto della sorella. Quale unica, apparente nota di vanità, tra i capelli è appuntata una singola rosa bianca, ovvero, alla latina, una rosa alba: garbato riferimento al nome della pittrice.
“L’Autoritratto degli Uffizi è dunque una delle poche opere dipinte a pastello che ci sia rimasta della prima attività della pittrice, che usa qui una materia compatta e molte acquerellature, insistendo nel disegno.” (Sani, 1988, p. 282).
Il pastello degli Uffizi risulta essere un doppio ritratto familiare e professionale al contempo, allo scopo di includere pure la sorella Giovanna, pittrice e poetessa, nella famosa galleria fiorentina degli Autoritratti, dalla quale la Carriera aveva ricevuto il prestigiosissimo incarico. La sua immagine veniva ad affiancarsi a quelle di poche altre donne artiste fra cui Lavinia Fontana, Elisabetta Sirani e le venete Marietta Tintoretto e Chiara Varotari.
Fa evidenziare inoltre una sua particolare abilità: col pennello indica il difficile ricamo che orna, al collo, la veste della sorella. Un’abilità che aveva conosciuto sin da piccola quella quell’arte del ricamo; così anche il pennello pare adoperarsi come un ferro da lavoro. Leggerezza e mobilità di tocco, estrema attenzione al mutare della luce, sottile psicologia: questi, sembra dirci la Carriera, i requisiti dell’eccellente ritrattista. I suoi ritratti risultano essere sempre vivi, non appesantiti dalle rigidità delle pose o dalla severità degli abiti da cerimonia e i suoi colori sembrano addirittura cangianti.
Ed invece per l’Autoritratto, post 1746, 31x25cm, pastello su carta; Venezia, Gallerie dell’Accademia, la vicenda è un’altra, il tempo è un altro. Sono trascorsi circa 30 anni…
Il pastello, appartenuto alla collezione dello scultore Antonio Dal Zotto, è stato acquistato dallo Stato per le Gallerie dell’Accademia di Venezia nel 1927, esercitando il diritto di prelazione per quattrodicimila lire nei confronti del commendator Giovanni Battista Del Vo, Direttore della Banca Commerciale Italiana a Venezia.
Il Malamani sottolinea che l’esiguo prezzo di acquisto dell’opera rispetto al suo reale valore che all’epoca si stimava essere più del doppio, era correlato “ad una speciale combinazione d’affari” tra il commendator Del Vo e gli eredi dello scultore. L’autoritratto della pittrice “col capo cinto di foglie” sarebbe stato regalato da Rosalba all’allieva Felicita Sartori e successivamente passato per legato al fratello di questa, Giambattista.
La Carriera raffigura se stessa non come vorrebbe, ma come sa di essere, una donna di poco più di settant’anni, anziana e stanca, con gravi disturbi alla vista.
Adriano Mariuz scrive:
“il sorriso è svanito, lo sguardo, che di lì a poco si sarebbe spento per la sopravvenuta cecità, evita quello dell’osservatore per seguire un interno fantasma: nel trapasso dalla luce all’ombra, Rosalba, giunta alla fine della sua attività, sembra aver scoperto e fatto proprio qualcosa del segreto dei ritratti di Rembrandt”. (Mariuz 1995, p. 289).
Rosalba, ribaendo la sua primaria aspirazione figurativa per il più concreto realismo, si rappresenta con una severità quasi crudele ed indulge negli aspetti meno gradevoli e attraenti del suo volto invecchiato, scevro di quella nota grazia del rococò. I lineamenti sono cadenti, gli occhi gonfi, la piega della bocca è amara e i radi capelli grigi amplificano il tono doloroso e drammatico del momento vissuto. In quest’opera a pastello è abolito drasticamente il ruolo dell’abbigliamento (particolarmente caro all’artista) e tutta l’attenzione si concentra sul volto dell’artista.
“Le tonalità scure, le luci indefinite che non staccano il volto dal fondo contribuiscono a creare l’impressione di tristezza”. (Sani, 2007 , p. 368)
Antonio Maria Zanetti il giovane riporta che il dipinto sarebbe stato eseguito dall’artista pochi anni prima di cadere “in uno intero abbagliamento della ragione” e sarebbe stato definito dall’autrice “la Tragedia”, intendendo il pensiero “che Rosalba dovea finire tragicamente” quindi presagio alla sua incombente cecità (Zanetti, 1771, p. 449).
La corona d’alloro penso che voglia sottolineare, per l’autrice, la sua condizione di virtuosa della pittura per l’eternità. L’alloro è anticamente e simbolicamente legato al concetto di eternità, di immortalità della fama o del sentimento.
Agli inizi degli anni novanta dello scorso secolo gli storici Cecilia Malm e Simone Pelizzoli hanno analizzato l’opera evidenziando che il pastello è stato dipinto su di una carta apparentemente azzurra sottile e ruvida, incollata su cartone. La gamma dei colori impiegati dalla pittrice mostrano una tavolozza molto complessa in cui compaiono un nero opaco o polveroso, un nero lucido o corposo, un bianco corposo e un bianco polveroso, un grigio chiaro, un azzurro chiarissimo, due diverse tonalità di rosa: rosa chiaro, rosa-marrone, e cinque tipi di marrone: terra d’ombra naturale, terra d’ombra bruciata, marrone grigio, marrone seppia e marrone rosato, due tipi di verde: verde scuro e verde- marrone. Inoltre Malm e Pellizzoli hanno rilevato la presenza di un disegno preparatorio a matita nera ed una caratteristica esecutiva generale di sfumato con tratti veloci nei capelli, con una tecnica rapida e di effetto.
A proposito della tecnica…
Per le miniature Rosalba fu la prima ad utilizzare l’avorio come base, dando all’ opera una particolare e raffinata lucentezza. Andò controcorrente rispetto agli insegnamenti accademici, rifiutando le regole secondo le quali la miniatura doveva essere realizzata con tratti brevi e ben amalgamati e preferendo la sua di tecnica, cioè nell’ adozione di un tratto veloce tipico della scuola veneta.
Per i disegni non crea disegni preparatori o bozze, ma immette direttamente il colore sulla superfice. La sua straordinaria capacità di sfumare il colore ed i passaggi delicatissimi di variazioni tonali rendono i suoi ritratti pervasi di delicatezza e pura luce. Tutto rigorosamente a pastello; non abbiamo alcun testo pittorico, riconosciutole o storicamente provato, che avvalli l’potesi di una Carriera pittrice a olio, anche se a onor del vero non vi sono neppure esplicite indicazioni contrarie.
Il rapporto epistolare Mariette-Zanetti-Carriera della fine degli anni quaranta non solo ci aggiorna sulle condizioni di salute della pittrice ma ci aiuta a cogliere il suo intimo smarrimento che viene materializzato nell’ Autoritratto delle Gallerie dell’Accademia.
Le parole della pittrice nella lettera scritta il 2 gennaio 1750, m.v.o. 1751, all’amico Pierre-Jean Mariette sono molto chiare:
“intieramente priva [di vista], e niente più vedo come s’io fossi del bugio della notte. Pensa Lei, che rincrescimento sarà non potere vedere il suo bel libro [di incisioni]. Ne goderà la mia sorella, i suoi, e miei amici, che ne sono impazientissimi; ed io ne averò il solo piacere di sentire, cosa dicono. Parmi già udire le approfazioni, ed applausi, e tutta quella maggior lode che si può aspettare per una sua produzione” (Sani, 1985 , II, p. 725).
Di fatto la totale perdita della vista toglieva a Rosalba la sua principale ragione di vita. Sempre restando nel ‘bugio della notte’ visse ancora sette anni.
Il suo più appassionato collezionista certamente fu Augusto III re di Polonia che, nel Palazzo Reale di Dresda, raccolse più di cento opere attribuite alla pittrice e alle sue allieve, tra cui il superbo ritratto della contessa Anna Orzelska.
Se nei ritratti per i suoi committenti oculatamente Rosalba Carriera installa una misurata lusinga, nei suoi autoritratti la pittrice si scruta senza artifici, non mascherando la sua scarsa avvenenza, concependo opere di sconcertante modernità e di forte pathos. Ormai settantenne, nei successivi dieci anni la pittrice si sottopose a tre operazioni agli occhi per tentare di recuperare forse la serenità nell’ ultima vecchiaia. Tentativo vano che addolorò moralmente l’impavida artista.
Il nome Rosalba nasceva dal primo bagliore di luce che spalancava il cielo a un nuovo giorno che gli antichi Romani chiamavano lux alba.
Eppure in quel nome quasi fatto di luce pura “Il destino beffardo, come un amante tradito, sa dove colpire con maggior forza, al centro della più intima vulnerabilità dell’amato. Di tutte le sventure che potevano accanirsi contro di me, questa è la più ingrata. Il fato mi priva del senso necessario alla mia vita più del respiro, più del sostentamento, pur anco dell’amore. Io, che attraverso lo sguardo ho fatto fiorire le carte, ho donato il volo alle aspettative senza ali dei miei committenti, ho trasformato uomini in dei e donne in regine, ho reso umani principi e re; io che con i miei pastelli ho regalato illusioni di immortalità, ora sento che mi vien meno lo strumento perfetto: la vista.”
Sono le parole con cui Valentina Casarotto, all’ interno del suo romanzo Il segreto dello sguardo fa rivivere in forma diaristica la straordinaria pittrice dell’evanescenza settecentesca: Rosalba Carriera.
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