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Giuseppe Pellizza da Volpedo, Il Quarto Stato, 1901, olio su tela, 293×545 cm; Milano, Museo del Novecento
“Penso che ogni arte conosca e racconti il suo tempo e che gli artisti siano stati e siano, talvolta, rivelatori del futuro. Forse mai più di oggi avremo memoria di come leggere e sentire, nel profondo dell’animo umano, il valore dell’ opera Quarto stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo”.
Quest’artista nato e vissuto a Volpedo (provincia di Alessandria) nel 1868 e morto nel 1907, descriveva in una lettera del 1904, il suo capolavoro più noto, il Quarto Stato. Da allora il quadro che glorifica la “grande famiglia dei figli del lavoro” è diventato un simbolo talvolta travisato, riletto e pur reinterpretato, dato il suo significato ancora estremamente attuale.
Quarto Stato si riferisce ad un termine utilizzato durante la rivoluzione industriale ottocentesca. Si indicava, così, la classe lavoratrice formata da operai contadini e artigiani. La definizione nacque propriamente durante la rivoluzione francese per indicare lo strato più basso della società, quello dei subalterni al terzo stato cioè i subalterni alla borghesia. Giuseppe Pellizza da Volpedo dipinse Il Quarto Stato con l’intenzione di documentare le rivendicazioni di questa classe sociale viva nella sua epoca e in quelle che sarebbero sopraggiunte.
I lavoratori rappresentati nel dipinto manifestano per i propri diritti: sono in sciopero. La massa avanza compatta, la compattezza assume forza e potere, si avanza per il diritto, per il riconoscimento del proprio e giusto salario.
Il dipinto fu ambientato in una piazza del borgo di Volpedo (siamo nelle campagne della provincia di Alessandria) e i personaggi erano abitanti del luogo. La denominazione della piazza “Malaspina” deriva proprio dalla famiglia Malaspina, che ai tempi di Pellizza possedeva la maggior parte delle terre del piccolo borgo agricolo di Volpedo, ed il cui palazzo si affacciava proprio su quella piazza. L’artista volle raffigurare proprio in questo luogo un gruppo indefinito di lavoratori. Fu a fianco di questi manifestanti e con la loro rappresentazione compì un gesto simbolico di speranza rivoluzionaria.
È doverosa per cronaca un’introduzione storica al dipinto….
Pellizza incominciò a lavorare prima di dare origine a quest’opera, già nel 1891, a un bozzetto intitolato Ambasciatori della fame dopo aver assistito a una manifestazione di protesta di un gruppo di operai. (Ambasciatori della fame è un olio su tela, cm 51,5 x 73cm conservato in Collezione privata). L’artista rimase molto impressionato dalla scena, tanto che annotò nel suo diario:
“La questione sociale s’impone; molti si son dedicati ad essa e studiano alacremente per risolverla. Anche l’arte non dev’essere estranea a questo movimento verso una meta che è ancora un’incognita ma che pure si intuisce dover essere migliore a petto delle condizioni presenti”.
Numerose altre sono le opere intermediarie tra il primo bozzetto, appunto, Ambasciatori della fame datato al 1891 e quello che lo seguirà dal titolo la Fiumana (eseguita nel trienno 1895-98 è un olio su tela, 255x438cm conservato a Milano nella Pinacoteca di Brera). In questa versione, Pellizza scrive:Il soggetto è già da allora una rivolta operaia nella piazza Malaspina a Volpedo, vista dall’alto, con tre soggetti posti davanti alla folla in protesta.
“Gli ambasciatori sono due che si avanzon seri sulla piazzetta verso il palazzo del signor che proietta l’ombra ai loro piedi […] si avanza la fame coi suoi atteggiamenti molteplici – Son uomini, donne, vecchi, bambini: affamati tutti che vengono a reclamare ciò che di diritto – sereni e calmi, del resto, come chi sa di domandare ne più ne meno di quel che gli spetta – essi hanno sofferto assai, è giunta l’ora del riscatto, così pensano e non vogliono ottenere colla forza, ma colla ragione – qualcuno potrà alzare il pugno in atto di minaccia ma la folla non è, con lui, essa fida nei suoi ambasciatori – gli uomini intelligenti […]”
È così che con la realizzazione di vari disegni e cartoni preparatori e di fotografie eseguite appositamente coi suoi modelli in posa nel luglio del 1895 Pellizza poté stendere la versione definitiva della versione Fiumana. Le varianti qui apportate rispetto agli altri bozzetti preparatori sono molteplici: il paesaggio subisce alcuni cambiamenti, aumentano le genti sul fondo mentre la linea di primo piano arretra. Lo scopo di Pellizza era quello di restituire vitalità a un popolo che non era più “una natura morta, ma una massa vivente e palpitante, piena di speranze umili o di minacce oscure”. Per capire a cosa alluddesse la Fiumana, potrebbe essere sufficiente leggere ciò che lo stesso autore scrisse sulla tela:
“S’ode … passa la Fiumana dell’umanità
genti correte ad ingrossarla. Il restarsi è delitto.
Filosofo lascia i libri tuoi e mettiti alla sua testa,
guidala coi tuoi studi.
Artista unisciti ad essa per alleviarle i dolori con la bellezza che saprai presentarle;
operaio lascia la bottega in cui per lungo lavoro ti consumi e unisciti.
E tu che fai? Conduci con te la moglie e il pargoletto ad ingrossare la fiumana dell’Umanità assetata di giustizia – di quella giustizia conculcata fin qui e che ora splende come un miraggio lontano.”
…Provate a ricercare facilmente e a osservare questi due” bozzetti”(Ambasciatori della fame e Fiumana): sono l’origine del Quarto stato.
Ma fu insoddisfatto del risultato tecnico-artistico della Fiumana, soprattutto alla luce del brutale massacro di Bava-Beccaris a Milano. È da qui che Pellizza da Volpedo, nel 1898, pose le basi per una nuova figurazione del cammino dei lavoratori.
Con il massacro di Bava-Beccaris mi riferisco alla nota rivolta di una parte della popolazione di Milano contro il governo, che si svolse tra il 6 e il 9 maggio del 1898- parliamo dei moti di Milano. Gli scontri avvennero a seguito di manifestazioni da parte di lavoratori che scesero in strada contro la polizia e i militari per protestare contro le condizioni di lavoro e l’aumento del prezzo del pane dei mesi precedenti, come avvenne anche in altre città italiane nello stesso periodo. Le notizie da Milano portarono il governo a dichiarare lo stato d’assedio con il passaggio di poteri al generale Fiorenzo Bava Beccaris. Egli agì duramente fin dall’inizio per soffocare ogni possibile forma di protesta; l’utilizzo indiscriminato delle armi da fuoco e, in particolare, di cannoni all’interno della città portarono il risultato desiderato, ma anche numerose vittime, spesso semplici astanti. I “cannoni di Bava Beccaris” passarono alla storia come simbolo di un’insensata e sanguinosa repressione).
E giungiamo al dipinto che vediamo ora insieme…
Inizialmente intitolato Il cammino dei lavoratori , quest’opera cambiò lo scopo sociale della pittura di Pellizza. A esser raffigurata non è più una fiumana umana, bensì uomini del lavoro che fanno della lotta per il diritto universale una lotta di classe: il loro incedere verso l’osservatore non è violento, bensì lento, fermo, con una pacatezza tale da richiamare alla mente un’ineluttabile sensazione di invincibilità.
Pellizza non volle solo disegnare una manifestazione di strada; ora intende celebrare l’imporsi della classe operaia.
La stesura del Cammino dei lavoratori richiese tre anni. Pellizza poté posare il pennello solo nel 1901 quando, a opera completa, decise di darle un nuovo titolo: Il quarto stato. È la classe operaia e contadina mai rappresentata, che opera silenziosa e per la quale il riconoscimento dei diritti non è questione degli Stati generali. A distanza di più di un secolo, osservare questo dipinto è sempre necessario, per non dimenticare l’importanza del diritto al lavoro, troppo spesso precarizzato, impoverito di ogni diritto e soggetto alle logiche affaristiche dei padroni. Non si rintracciano connotazioni e colori politici, per un dipinto che è espressione di uno dei Valori universali: la dignità.
La folla compatta avanza verso il fronte del quadro con grande determinazione. Sui volti si leggono la fierezza e la volontà di rivendicare i propri diritti.
L’avanzare del corteo non è violento, ma lento e sicuro. Alegggia un’inevitabile sensazione di vittoria. Si legge nelle intenzioni del pittore: “dare vita a una massa di popolo, di lavoratori della terra, i quali intelligenti, forti, robusti, uniti, s’avanzano come fiumana travolgente tra ogni ostacolo che si frappone per raggiungere luogo, ov’ella trova equilibrio”.
In primo piano guidano il corteo da sinistra un uomo anziano, al centro un giovane mentre a destra una donna con in braccio il suo bambino. Questi tre personaggi rappresentano le componenti della classe sociale più umile dell’epoca.
Tutti gli uomini e le donne sono vestiti con abiti poveri ma dignitosi.
Il giovane uomo al centro, da ritenersi protagonista della scena, è un “uomo sui 35, fiero, intelligente, lavoratore” (come affermò lo stesso Pellizza). Indossa una camicia con al di sopra un gilet. Sul capo porta un cappello e la giacca è tenuta elegantemente da una mano e pende dietro la schiena. L’altra mano si appoggia nella cintola dei pantaloni. La sua postura è calma è sicura. La sua mano destra sorregge la giacca senza affanno mentre la sinistra è fermamente poggiata sulla tasca. Quest’uomo è stato identificato nel volto di Giovanni Zarri, detto Gioanon, nativo di Volpedo e falegname sin da giovanissima età.
La donna, invece, sembra rivolgersi all’uomo per farlo desistere dal condurre la manifestazione. I suoi piedi sono nudi. Anche il bambino che porta in braccio è nudo e abbandonato nella stretta della madre. La donna è plasmata sulle fattezze della moglie del pittore: il suo nome è Teresa con la quale ebbe tre figli (la giovane moglie sarebbe morta nel 1907 durante il parto del terzogenito). La sensazione di movimento trova espressione nelle numerose pieghe della sua veste.
A sinistra vediamo un altro uomo che avanza muto, pensoso, con la giacca fatta cadere sulla spalla sinistra. Si tratta di Giacomo Bidone, al secolo Giacomo Maria Clemente Silvestro, nato a Volpedo ed esercitante la professione di falegname fino al 1891, quando – rimasto vedovo della moglie Margherita Lucotti – emigrò in America, seguendo le orme dello zio.
Gli uomini che seguono i tre personaggi gesticolano visivamente come per rivendicare le proprie istanze.
La quinta è costituita dal resto dei manifestanti e si dispone sul piano frontale. I partecipanti, giovani e adulti, uomini e donne, mogli, lavoratrici e madri, rivolgono lo sguardo in più direzioni suggerendo di avere il pieno controllo della situazione. Tutti compiono gesti molto naturali: di questi, taluni reggono bambini in braccio, altri appoggiano la mano sugli occhi per ripararli dal sole, e altri ancora, semplicemente, guardano diritti davanti a loro.
All’estrema sinistra una donna segue il corteo, come altre donne. È Maria Albina Bidone, sorella minore della moglie di Pellizza. Morì di tisi nel 1907; accanto a lei c’è il marito Giovanni Ferrari che sopraffatto dal dolore, morì suicida nel 1932.
All’estrema destra del dipinto un altro uomo, con una giacca poggiata sulle spalle che tiene per mano un bambino.
Giovani, maturi e anziani procedono compatti verso il fronte del dipinto.
La composizione è concepita come un fregio; una disposizione orizzonatale di figure che paiono proseguire verso gli estremi della tela, al di là della dimensione finita. La folla è più estesa di quella che vediamo. Persiste la fiumana. Questa soluzione di composizione figurativa è detta tecnicamente paratattica e ricorda il classicismo del fregio, elemento architettonico presente nei templi greco-romani. È in questo modo che Pellizza fonde anche e armoniosamente i “valori riferiti all’antica civiltà classica con la moderna consapevolezza dei propri diritti civili”.
Sullo sfondo del dipinto si intravede un cupo tramonto in cui una folta barriera scura di cespugli è sovrastata da un cielo blu/violaceo. La schiera compatta di lavoratori, il proletariato (il quarto stato) è illuminata dalla luce solare ed avanza con passo cadenzato verso l’osservatore. Questo avanzare verso la luce del sole rappresenta simbolicamente la fiducia nel progresso sociale e dell’avanzare verso un futuro che in quel momento storico appare carico di grandi cambiamenti, pieno di aspettative, mentre non è casuale il fatto che Pellizza dipinga un tramonto alle spalle della folla, simbolo dell’allontanamento da un passato fatto solo di miseria, sudore e fatica.
La luce che colpisce radente gli uomini e illumina in pieno la donna con il bambino in primo piano, dà significato ulteriore anche alla loro figura. La sua immagine ricorda quella di una maternità cristiana. Le figure sono più sfocate e oscurate verso il fondo. La luce è più intensa in testa al corteo, e gli uomini procedono verso la fonte luminosa. I lavoratori paiono uscire dall’oscurità dell’ignoranza per conquistare un proprio posto al sole. La linea retta che unisce le teste sullo sfondo si oppone alla linea curva che unisce i piedi dando l’effetto di un’onda potente ma lenta, che avanza inesorabile. Ciò che rende così unito e compatto questo drappello di lavoratori è l’essere accomunati da un identico sentimento di fede nei propri ideali e di speranza per le conquiste sociali che riusciranno ad ottenere. È una lotta sociale, che si svolge con la partecipazione e la consapevolezza di tutti in modo pacifico e con la speranza per il futuro.
La storia dell’opera
Il quarto stato fu mostrato al pubblico per la prima volta alla Quadriennale di Torino nel 1902, insieme con un’altra importante tela pellizziana intitolata Il tramonto. L’opera non ebbe alcun riconoscimento. Nessun museo si interessò all’acquisto. Ciò malgrado, l’ideazione del Quarto stato è stata assolutamente esemplare: ne era consapevole Giovanni Cena, che all’indomani della Quadriennale scrisse che “è una cosa che resterà e che non ha paura del tempo, perché il tempo le gioverà”.
Il successo del Quarto stato presso il pubblico incominciò non tra le mura delle sale espositive – come si augurava il Pellizza – bensì mediante la stampa socialista e le innumerevoli riproduzioni.
Nonostante le censure della critica, nel 1903 il quadro venne ristampato nella rivista milanese “Leggetemi! Almanacco per la pace”, facendo da cornice artistica a un articolo di Edmondo De Amicis; analogamente, il 1º maggio 1903 venne riprodotta nel giornale “Unione”, mentre il 1º maggio dell’anno successivo fu il turno del periodico “L’Avanguardia socialista”.
Frattanto, Pellizza, forte di una certa diffusione raggiunto dall’opera, tentò varie volte di esibire Il quarto stato presso altre mostre, ma invano: i comitati espositivi, temendo la pericolosità del soggetto, rifiutarono sempre di esporlo. Pellizza riuscì a vedere la propria opera d’arte esposta in una mostra solo una volta, nel 1907, a Roma presso la Società promotrice di Belle Arti: l’artista si suicidò, non ancora quarantenne, il 14 giugno dello stesso anno.
Dopo un periodo di stasi, dovuto all’improvviso decesso del Pellizza e alle feroci critiche, Il quarto stato fu esposto, in pieno biennio rosso (1919-1920) in una retrospettiva monografica dedicata all’autore presso la Galleria Pesaro di Milano. il critico d’arte Guido Marangoni, rimasto impressionato dall’imponenza del quadro pellizziano, decise di promuovere una sottoscrizione pubblica per acquistare, dagli eredi, la tela. Così avvenne. Al prezzo di cinquantamila lire, il dipinto nel 1921, entrò a far parte del patrimonio della Galleria d’Arte Moderna trovando collocazione nel castello Sforzesco.
L’opera rimase visibile in quel luogo fino agli anni trenta quando, durante la riorganizzazione fascista degli allestimenti del museo, venne confinata in un deposito, donde riemergerà solo nella metà degli anni cinquanta, quando venne collocata nella sala Giunta di palazzo Marino, appena ricostruito dopo i bombardamenti bellici del 1943. Fu durante la permanenza al palazzo Marino, luogo dall’alta valenza simbolica che una sorta di culto verso il Quarto stato venne ravvivato; il critico Corrado Maltese consacrò il dipinto quale “monumento più alto che il movimento operaio abbia mai potuto vantare in Italia”. Fu grazie al giudizio di Maltese che il dipinto acquistò attenzione per innumerevoli mostre e lavori di ricerca. ll Quarto stato rimase a palazzo Marino fino al 1980, quando fu spostato nella Galleria d’arte moderna di Milano. Dal 2010 ha trovato collocazione definitiva a Milano nel Museo del Novecento, di cui costituisce la prima opera esposta, a testimonianza del riconoscimento del suo valore artistico.
E ora torniamo a quella lettera scritta di suo pugno da Giuseppe Pellizza da Volpedo nel 1904 nella quale descriveva l’opera. Così si legge:
“Quarto Stato – che fu nella mia mente Fiumana prima, quindi Il cammino dei lavoratori, fu una delle mie primissime concezioni, fu il pensiero continuato di un decennio e non riuscii a concretarlo se non chè dopo aver evoluto la mia arte con molto, moltissimo lavoro e con altrettanto pensiero. Ma quando pensiero e forma si fusero nella mia convinzione nulla mi rattenne: non le rampogne della famiglia, non i consigli degli amici, non le maldicenze dei meno benevoli e altre maggiori difficoltà. Fu quale io l’avevo voluto. L’avanzarsi animato di un gruppo di lavoratori verso la sorgente luminosa simboleggiante nella mia mente tutta la grande famiglia dei figli del lavoro. Restando qual è nella composizione, a cui anche oggi nulla toglierei. Il quadro può essere migliorato rendendolo meglio rappresentativo nell’idea di forza. Il quadro vuol essere una glorificazione così come altri”.
Presumibilmente auspicheremmo che Quarto stato fosse ferma ad un tempo passato e che la sua avanzata non giunga più fino a noi e che forse non ci tocchi nemmeno così tanto. Auspicheremmo di guardare a quest’opera come osserviamo la mitologia, la leggenda e una sorta di tradizione. Eppure così non è. Quarto stato vive ancora oggi non soltanto in quanto immagine e capolavoro di uno dei più grandi artisti della storia dell’arte, ma vive per la sua attualità, per un bisogno di giustizia sociale ancora da raggiungere. Certo oggi le piazze vivono sempre meno delle mobilitazioni e del riconoscimento dei diritti. Oggi abbiamo altri mezzi, forse…
Oggi decine di rivisitazioni raccolgono in continuazione l’eredità di Quarto stato trasmettendola a un pubblico sempre più ampio con fotografie, nuovi quadri, murali, vignette, fumetti, fotogrammi di film e molto altro, ma questa è un’altra storia.
Foto:
https://it.wikipedia.org/wiki/Il_quarto_stato#/media/File:Quarto_Stato.jpg
Ascolta l’audio sul canale YOU TUBE https://www.youtube.com/watch?v=YU8VrhJiVio&t=29s
1 Comment
Bellissima storia e commenti
Tutta da conoscere in questo giorno
Si dice FESTA DEL LAVORO ma i lavoratori………cosa pensano oggi?