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Andrea Mantegna, Cristo morto, 1475-1478; tempera su tela; 68x81cm; Pinacoteca di Brera, Milano
“Bene fece Mantegna a dipingere il Cristo morto inquadrandolo dai piedi. […] Da quella posizione, l’immobilità della morte emana una vibrazione mistica singolare, quella del sabato santo. Gesù non aveva più l’entelechia che animava il suo corpo, eppure tutto il sepolcro era pervaso da un’aura dorata, indubbio segno di gloria. […] Dov’era il suo spirito che gli aveva dato sinora la vita? […] Il Signore era disceso tra i morti per visitare i giusti dell’antico patto”.
Piergiorgio Mariotti, regista
Il Cristo morto nato dalla maestria pittorica di Andrea Mantegna è un’opera che quando è stata realizzata, ha gettato delle basi completamente nuove per fare arte.
Nella storia della vita di Cristo, questo è il momento successivo a quello in cui viene deposto dalla croce e preparato per la sepoltura. Si tratta di momenti cruciali nella vita di Gesù, e tanti pittori, nel corso della storia hanno cercato di rappresentarli con il loro stile.
Il Cristo morto ha qui una composizione costruita in modo tale che se stiamo guardando questa scena per la prima volta, c’è un fortissimo impatto emotivo. È come se noi entrassimo nell’ambiente in cui il cadavere di Gesù è stato trasportato e Mantegna avesse voluto renderci testimoni diretti di quello che sta accadendo, ponendoci di fronte a Cristo, per vederlo frontalmente, con un punto di vista leggermente rialzato.
Chi si trova di fronte all’opera ha la sensazione di essere a contatto diretto col corpo. Il dorso delle mani e la pianta dei piedi sono rivolti verso il fronte del dipinto. Il devoto ha, così, di fronte le tracce della sofferenza di Cristo ed entra in contatto con la sua passione. La Bellezza può fare le sue eccezioni. Stupore o rifiuto davanti a quest’opera?
Cesare Brandi (storico, critico e specialista della teoria del restauro vissuto nel secolo scorso), ha dedicato uno scritto al Cristo morto. Lo ha definito una “tela straordinaria che sfiora l’assoluto senza nessun lenocinio (cioè nessuna lusinga), con una schiacciante severità, tali da costituire la pittura meno decorativa e quasi repulsiva. Una tela capace di provocare nello spettatore un cozzo di sentimenti diversi, che assicura una recezione contrastata e quasi timorosa, senza tuttavia suscitare pietismo di sorta”.
Siamo negli ultimi 30 anni del ‘400. Andrea Mantegna ama dare l’illusione dello spazio con le sue opere e stupire fa parte del suo mestiere. Andrea si è formato nella bottega padovana dello Squarcione, ha maturato il gusto per la statuaria antica, per le forme monumentali e per la prospettiva. Quest’ultima l’ha appresa da Donatello. È così bravo il Mantegna con questi particolari che molti studiosi ritengono che questo quadro con il Cristo morto possa essere stato dipinto nell’ultimo periodo della sua vita; l’ha fatto prima o dopo aver completato un altro suo capolavoro: l’affresco della Camera degli Sposi (Mantova, 1465-1474). L’artista non era nuovo a riprese così scorciate dei corpi. Pensiamo al Trasporto del corpo di San Cristoforo… (un affresco realizzato nel 1454-1457 per la Cappella Ovetari della Chiesa degli Eremitani a Padova.
Ancora una volta con l’opera del Cristo disteso, Andrea utilizza una particolare tecnica che ci dà un’illusione a proposito della visuale.
Le linee delle forme e i volumi rendono efficacemente il rigor mortis accentuato dal colore terreo della pelle. Il panneggio del lenzuolo restituisce un effetto bagnato. Il tessuto crea delle pieghe pesanti e scolpite che sottolineano i volumi. Questa caratteristica si ritrova in molte opere dell’artista. Le forme risultano quasi rigide simili a sculture in legno.
Di prima vista potrebbe sembrarci che il corpo sia steso su un letto, ma non è così.
Quel corpo giace inerme su di una lastra di pietra, fredda. Una lastra utilizzata per l’unzione e coperta da un lenzuolo. Un telo protegge il cadavere dal bacino ai piedi che restano esposti e mostrano le ferite dei chiodi sulle piante. Il capo di Gesù poggia su di un cuscino rettangolare mentre le braccia sono abbandonate lungo i fianchi. Il viso, molto scorciato, come il resto del corpo, non viene deformato. Anzi, acquista una crudezza mortale che suggerisce realismo.
Spostiamoci in alto a destra nel dipinto: c’è un piccolo vaso con all’interno degli unguenti. Questi venivano utilizzati per far sparire l’odore dei cadaveri.
Ed ora spostiamoci nel basso del dipinto… proviamo a tracciare delle “linee invisibili” che convergano verso il centro della scena. Le linee vanno verso il volto di Cristo e attraggono il dolore dei personaggi che lo circondano.
E ora le proporzioni, pura illusione di una perfezione.
La lastra di pietra è disegnata con l’utilizzo di una solida prospettiva geometrica. Il corpo di Gesù sopra di essa è però rappresentato con uno scorcio prospettico molto azzardato. Infatti, Mantegna per evitare che l’anatomia risultasse troppo deformata, modificò le reali proporzioni delle varie parti.
Proviamo ad analizzare le dimensioni e le proporzioni metricamente…
Se l’artista si fosse attenuto in maniera ligia alle regole della prospettiva, i piedi sarebbero stati molto più grandi, la testa più piccola e il corpo più compresso rispetto a quello che vediamo.
Al contrario, Mantegna è “arrivato a realizzare l’adattamento delle proporzioni per via empirica, al fine di mantenere la dovuta dignità alla figura di Cristo”.
E così i piedi messi così in primo piano, sono un po’ troppo piccoli rispetto al resto del corpo. Poi ci sono le gambe che sono più corte, le braccia sono troppo lunghe e il torace di Cristo è troppo largo.
Insomma, le proporzioni “razionali” sono tutte sbagliate. Eppure l’opera si direbbe perfetta.
A rendere più evidenti i dettagli sono le linee dure con cui Andrea disegna tutta la scena; attraverso queste linee, infatti, il nostro sguardo cade, in modo inevitabile, sui particolari più cruenti e reali, come i muscoli irrigiditi del Cristo morto.
Sulle mani e sui piedi di Cristo ci sono i fori causati dai chiodi con cui era attaccato alla croce in precedenza.
E po il drappo che ricopre il ventre … È arrotolato attorno alla vita in modo così stretto da mettere in risalto le forme del suo corpo.
A proposito dei personaggi che vediamo in alto a sinistra… alle figure dei dolenti è riservata una minima porzione del dipinto.
In primo piano più vicino a noi c’è san Giovanni che sta piangendo con le mani giunte; al centro c’è la Vergine Maria, disperata anche lei, si asciuga le lacrime con un fazzoletto (soffermiamoci sulla resa delle lacrime che scendono sul volto, sono puro ed accentuato realismo). In penombra, si distingue a malapena un’altra donna che sta piangendo: si tratta di Maria Maddalena…
A proposito dell’ambiente…
Gran parte della scena è occupata da Cristo e dalla superficie su cui è steso. In alto a destra si intravede però un pezzettino di pavimento ed un corridoio che dà su un’altra stanza, ma all’interno è tutto buio.
Il dipinto fu realizzato su tela. Tale scelta risultò sperimentale per l’epoca. Infatti, il materiale più usato era la tempera su tavola. Il passaggio alla tela consentì di aumentare le dimensioni dei dipinti per via del minor peso e della maggiore maneggevolezza delle opere.
Mantegna dipinse le figure sovrapponendo le diverse velature di colore. In questo modo ottenne le variazioni di tono necessarie ad ottenere i volumi delle forme anatomiche e il marcato chiaroscuro apprezzabile nelle pieghe del sudario. La tonalità generale del dipinto è calda. La pietra e il cuscino tendono al rosa. L’incarnato di Cristo è grigio-bruno mentre quello dei dolenti tende all’ocra e al rosa. Il fondo e le ombre sono marrone scuro. Le figure in primo piano sono poste in evidenza dalla luce che, invece, è assente sullo sfondo. L’illuminazione filtra nel sepolcro dall’esterno e il contrasto luminoso creato da Mantegna sottolinea la drammaticità della scena e determina un intenso senso di pathos nel fedele.
Non esistono bozzetti che descrivano le fasi di progettazione del dipinto. L’unico disegno che presenta la stessa impostazione è conservato presso il British Museum di Londra.
Le vicende dell’opera…
Andrea Mantegna muore nel 1506. Questo Cristo morto fa parte della serie di quadri ritrovati nella sua bottega.
Il cardinale Sigismondo Gonzaga rimase affascinato alla vista dell’intrigante tela e nel 1507 decise di acquistarla.
Non si hanno notizie del quadro per un po’ fino a che, 30 anni dopo, riapparve nel camerino di Margherita (Paleologa), la futura sposa di Federico II Gonzaga.
È il XVII secolo e l’opera passa tra le mani di tanti proprietari diversi.
La storia del Cristo morto del Mantegna si fa complessa.
Sono talmente tanti i passaggi di proprietà che ad un certo punto sembra che ci siano 2 quadri di Mantegna e non più uno solo!
Ci sono diversi documenti che indicano che nel 1603 il lavoro di Andrea si trova nelle mani di Pietro Aldobrandini.
Pietro aveva prelevato diverse opere dalla collezione della prestigiosa famiglia Estense di Ferrara (i Gonzaga), dato che qualche anno prima (nel 1598), quella città era diventata un possedimento della famiglia Aldobrandini.
Ma nel 1627, salta fuori un secondo Cristo morto del Mantegna in un inventario del duca Ferdinando Gonzaga.
Ancora oggi non si riesce a dare una spiegazione a questo mistero.
Com’è arrivato alla Pinacoteca di Brera?
Nel 1628, un gran numero di quadri appartenenti alla famiglia Gonzaga vengono venduti a Carlo I d’Inghilterra. Poco tempo dopo, il capolavoro e tante altre opere finiscono in vendita tra le merci dell’antiquario.
Fortunatamente, il cardinale Giulio Mazzarino riconosce il famoso quadro del ‘400 e lo acquista.
Da quel momento, si perdono nuovamente le notizie di questa tela; soltanto nel 1806 ci sono nuovi risvolti sulla vicenda.
In quell’anno, Giuseppe Bossi, il segretario dell’Accademia di Brera invia una lettera ad Antonio Canova. È lui che viene nominato consulente per l’acquisto di opere d’arte.
Bossi chiede a Canova di acquistare il Cristo di Mantegna, e lo scultore lo compra nel 1824, facendolo arrivare alla Pinacoteca.
Ma esiste una seconda versione del lavoro del Mantegna.
Questo “nuovo” lavoro si trova a New York, nella collezione privata di Glenn Head.
Molti critici hanno avuto la possibilità di analizzarlo con attenzione ed hanno ipotizzato quasi immediatamente che si tratta solo di una copia fatta alla fine del ‘500. Confrontando i 2 lavori, si può notare che nella versione americana mancano i 3 personaggi a lato che stanno piangendo la scomparsa di Gesù.
Altri studiosi hanno fatto un ragionamento più complesso e pensano che quei protagonisti presenti sul lato siano stati aggiunti in seguito dal Mantegna; in questo modo il lavoro nella collezione Glenn Head acquisirebbe il ruolo di bozza preparatoria o addirittura di variante della celebre tela.
Diversi artisti hanno guardato al Cristo morto di Andrea Mantegna e ne hanno tratto ispirazione per la loro arte. L’elenco è molto lungo: occorre citare la Deposizione eseguita ad affresco dal Pordenone sulla controfacciata del Duomo di Cremona nel 1520, nonché il singolare Cristo morto tra la carità e la giustizia di Lelio Orsi piccola tela conservata a Modena e realizzata negli anni Settanta del XVI secolo, e soprattutto il Cristo morto con gli strumenti della Passione di Annibale Carracci capolavoro giovanile del pittore emiliano, realizzato probabilmente attorno al 1582-1584.
Mantegna ha fornito suggestioni anche al cinema. Diversi registi si sono espressamente ispirati al dipinto per girare alcune scene dei loro film: tra questi è possibile citare Il bacio di giuda di Paolo Benvenuti (1988) e Il ritorno di Andrej Zvianizev Zvjagincev (2003). Nel campo della fotografia, una celebre fotografia del 1967 di Freddy Alborta ritraendo Che Guevara dopo la sua esecuzione si rifà alla posa del Cristo scorciato.
È indubbio che il Cristo morto di Andrea Mantegna sia uno dei capisaldi del Rinascimento, sia dal punto di vista tecnico, sia per ciò che riguarda i suoi contenuti. Forse è con questo dipinto che per la prima volta vengono poste senza indugio, davanti agli occhi dell’osservatore, tutta la fragilità e tutta l’umanità di Cristo. Lo ha sottolineato lo stesso James Bradburne in occasione della presentazione del più recente allestimento alla Pinacoteca di Brera. Così ha affermato: “Mantegna ha saputo che più importante della scienza e più importante della prospettiva stessa era rendere la sofferenza di Cristo visibile, e rendere la sua morte assoluta. Sottolineare l’umanità di Cristo: se Cristo non fosse stato capace di morire, tutte le basi della religione cristiana sarebbero venute meno”.
Così Andrea Mantegna è riuscito in questo scopo con una tela capace di rompere la tradizione dell’arte per un nuovo tempo, una nuova visione.
Ascolta l’audio sul canale YOU TUBE https://www.youtube.com/watch?v=Vk0c60HT9N8&t=1165s