Annibale Carracci, Resurrezione di Cristo, 1593; olio su tela; 217×160; Musée du Louvre, Parigi
dal Vangelo di Matteo 28, 1-10
“Dopo il sabato, all’alba del primo giorno della settimana, Maria di Màgdala e l’altra Maria andarono a visitare la tomba. 2Ed ecco, vi fu un gran terremoto. Un angelo del Signore, infatti, sceso dal cielo, si avvicinò, rotolò la pietra e si pose a sedere su di essa. 3Il suo aspetto era come folgore e il suo vestito bianco come neve. 4Per lo spavento che ebbero di lui, le guardie furono scosse e rimasero come morte. 5L’angelo disse alle donne: «Voi non abbiate paura! So che cercate Gesù, il crocifisso. 6Non è qui. È risorto, infatti, come aveva detto; venite, guardate il luogo dove era stato deposto. 7Presto, andate a dire ai suoi discepoli: «È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete». Ecco, io ve l’ho detto». 8Abbandonato in fretta il sepolcro con timore e gioia grande, le donne corsero a dare l’annuncio ai suoi discepoli. 9Ed ecco, Gesù venne loro incontro e disse: «Salute a voi!». Ed esse si avvicinarono, gli abbracciarono i piedi e lo adorarono. 10Allora Gesù disse loro: «Non temete; andate ad annunciare ai miei fratelli che vadano in Galilea: là mi vedranno”.
Ed ecco che un pittore bolognese, non nuovo alla raffigurazione di tematiche religiose, dipinge solo un passo di questo brano. Laddove nel vangelo di Matteo si legge: “4Per lo spavento che ebbero di lui, le guardie furono scosse e rimasero come morte”.
Lo storico critico bolognese seicentesco, tale Conte Carlo Cesare Malvasia, nel 1678, avendo notato il deciso avvicinamento stilistico alla pittura del Correggio e dei pittori veneziani quali Tintoretto, Tiziano e Veronese sosteneva, a proposito di Annibale Carracci, che si trattasse “…… di un misto principalmente di Tiziano e di Paolo”.
Annibale Carracci nacque a Bologna nel 1560; la sua vicenda artistica si articola in due fasi ben distinte.
Nel primo periodo riscontriamo le opere datate, dal 1583 al 1586, e che risalgono ai viaggi in Toscana e in terra Veneziana. Le opere di questo periodo sono caratterizzate da un forte realismo e cromatismo: pensiamo al Battesimo di Cristo nel quale è evidente l’influsso della pittura del Correggio, alla Madonna e Santi, allo Sposalizio di Santa Caterina, all’Assunzione della Vergine.
E poi La bottega del macellaio (Oxford, Christ Church), Il mangiafagioli (Roma, Galleria Colonna),l’Uomo con scimmia (Uffizi) o anche temi mitologici come la Venere, satiro e amorini (Uffizi), nei quali Annibale tenta una propria ricerca in direzione naturalistica. Altre significative opere del periodo sono il Ritratto di musico attualmente presso la Galleria Nazionale di Napoli e due Autoritratti che che invece si trovano alla Galleria degli Uffizi a Firenze e alla Pinacoteca di Brera.
A questi primi anni di carriera appartiene anche l’attività con il fratello Agostino e il cugino Ludovico (tra il 1588 e il 1590), coi quali fonda, a Bologna, la celebre Accademia degli Incamminati realizzando grandi cicli decorativi, come le Storie di Giasone in Palazzo Fava e le Storie di Romolo in Palazzo Magnani, legati alle suggestioni dell’ambiente manierista dell’Italia settentrionale.
Ed è proprio a questo periodo che risale l’opera della Resurrezione…
Una schiera di angeli, nella parte alta del dipinto, circonda il Cristo risorto. È lui che con la mano sinistra sostiene il vessillo della croce. Si è liberato dal sepolcro. La luce è calda e si fa spazio tra le nubi oltrepassando la bruna atmosfera del crepuscolo.
Il sepolcro è sigillato dal cartiglio ancora intatto. È uno dei soldati ad indicarci questo dettaglio che potrebbe sfuggirci. Lo vediamo al centro del dipinto, è in corazza, al fianco di un uomo in turbante.
Un altro soldato dorme sulla pietra tombale, poggiandovi tutto il suo peso.
Il sigillo intatto e il soldato pesantemente addormentato sono evidenza prodigiosa di quanto accade.
In basso altre guardie reagiscono all’evento. Ognuna di loro assume pose di sgomento e concitazione diversa. Una guardia ancora dorme disteso con il corpo rivolto verso il cielo, mentre a sinistra e a destra altri sgherri paiono quasi volersela dare a gambe, a due passi dall’uscita dalla tela.
Il momento è supremo, mai prima di allora avevano assistito a un simil accaduto.
Aitanti, muscolosi, possenti. Chi poteva sfuggire alla sorveglianza di così valorose guardie?
Non mancano i dettagli della narrazione: il fiasco rotolante sulla sinistra, il fascio di frecce utilizzato come cuscino, una lucerna sui gradini del sepolcro, le armi dei soldati. La natura morta barocca entra nella narrazione del sacro.
E ora guardiamo verso la linea di orizzonte del dipinto…scorgiamo figure che si allontanano. Sono le donne alle quali l’angelo disse: “7Presto, andate a dire ai suoi discepoli: «È risorto dai morti, ed ecco, vi precede in Galilea; là lo vedrete». Ecco, io ve l’ho detto”.
E così da quel fondo lontanissimo avanza una luce che giunge al primo piano mescolandosi tra la terra bruna, il giallo dell’ascesa e le tonalità dell’intorno. Le tonalità più evidenti del giallo e del rosso guardano alla memoria di Raffaello, allo steso modo si esaltano.
Nella Resurrezione, Annibale Carracci fonda anche la conoscenza formale del maestro Correggio e il colorismo della maniera veneta.
È documentato che Annibale avesse guardato, per tramite di copie ed incisioni, ad un capolavoro di Tiziano Vecellio intitolato il Martirio di san Pietro da Verona (l’opera finì in cenere nel corso dell’incendio divampato a Venezia, nella Basilica di San Giovanni e Paolo, nel 1867.).Cercatela facilmente su internet, troverete delle assonanze con il dipinto della Resurrezione di Annibale.
Annibale guardò anche alla produzione di Paolo Veronese. Nella chiesa veneziana di San Francesco della Vigna, è conservato un dipinto risalente agli anni ’70 del Cinquecento a firma di Paolo Veronese. È intitolato la Resurrezione di Cristo. Guardando le due opere coglierete anche qui delle straordinarie analogie con l’opera del Carracci
Al Louvre, nel Gabinetto dei Disegni, si conserva uno studio preparatorio della Resurrezione di Annibale.
Storia
La Resurrezione di Cristo fu commissionata ad Annibale Carracci dalla famiglia dei mercanti Luchini per la cappella del loro lussuoso palazzo a Bologna poi venduto agli Angelini. Da questi passò, per lascito testamentario, alla cappella di Santa Caterina Vigri del convento del Corpus Domini (Bologna). Nel 1796 fu trasferita alle collezioni parigine come bottino di guerra napoleonico. L’opera non è più rientrata in Italia, come si evince dalla sua conservazione attuale.
Notizia degna di menzione pervenutaci su questo dipinto attiene anche all’altissima quotazione che esso raggiunse già sul finire del Seicento, tra le più alte documentabili su un’opera di quel periodo.
E pensare che come ci riferisce lo storico Bellori, Annibale ricevette uno scarso compenso per l’esecuzione dell’opera in parte pagato addirittura con derrate alimentari.
In effetti, come testimoniano varie fonti, la Resurrezione divenne una delle opere più celebrate tra quelle di Annibale presenti a Bologna nonché uno dei paradigmi della scuola pittorica felsinea a cavallo tra Cinque e Seicento (il termine “felsina” deriva dalla denominazione della principale città etrusca dell’Etruria padana, corrispondente all’odierna Bologna).
Il dipinto è firmato e datato con la dicitura ANNIBAL CARRATIUS PINGEBAT. MDXCIII (1593). La firma rappresenta una formula solenne, mai usata in precedenza da Annibale, in cui ancora si scorge la consapevolezza e l’orgoglio del pittore nell’aver realizzato un’opera eccezionale. Lui, modestia a parte, lo sapeva già.
Quest’opera sublime è il preambolo della produzione che verrà. È la più potente accensione cromatica mai concepita da Annibale fino a quel momento. Scompare l’educazione accademica bolognese e lascia spazio a forme che si ingigantiscono, dove il colore si fa’ naturale per un’evidenza quasi assoluta. Il pittore fa tesoro degli insegnamenti bolognesi, ma si lascia andare ad una sempre più intensa spontaneità di espressioni e movimenti.
E poi torniamo alla vita del pittore. Nel 1595 ci fu la svolta. Annibale si trasferì a Roma chiamato da Odoardo Farnese per la decorazione ad affresco del camerino del Palazzo Farnese con Le storie di Ercole e Ulisse e Gli amori degli dei. Qui animate composizioni si aprono su squarci architettonici e cieli azzurri. È l’inizio del barocco.
Nel contempo seguirono opere come la Natività della Vergine (oggi al Louvre), la Pietà del Museo Nazionale di Napoli e l’Assunzione (opera collocata nella cappella Cerasi di Santa Maria del Popolo a Roma).
Tra i 1603 il 1604, lavorò alla decorazione delle lunette nella cappella di palazzo Aldobrandini con Storie della Vergine tra le quali la bellissima Fuga in Egitto nel quale il paesaggio diventa il soggetto principale dell’intero dipinto che oggi si trova a Roma alla Galleria Doria Pamphili. Altre opere oggi alla National Gallery, Vienna e Parigi continuano a raccontarlo…
Annibale Carracci muore a Roma nel 1609.
Visse nella stessa epoca di Caravaggio, più come un trasformatore di stile che come innovatore.
Ascolta l’audio sul canale YOU TUBE https://www.youtube.com/watch?v=Vk0c60HT9N8&t=1165s